La previsione di soglie di sbarramento “sono tipiche manifestazioni della discrezionalità del legislatore che intenda evitare la frammentazione della rappresentanza politica, e contribuire alla governabilità” (Corte cost. sentenza n. 193/2015).
Nella
sentenza n. 35/2017, leggiamo che per la Corte costituzionale “non è manifestamente irragionevole che il
legislatore, in considerazione del sistema
politico-partitico che intende disciplinare attraverso le regole
elettorali, ricorra contemporaneamente, nella sua discrezionalità, a entrambi
tali meccanismi. Del resto, se il premio
ha lo scopo di assicurare l’esistenza di una maggioranza, una ragionevole
soglia di sbarramento può a sua volta contribuire allo scopo di non ostacolarne
la formazione. Né è da trascurare che la
soglia può favorire la formazione di un’opposizione non eccessivamente
frammentata”.
Per la Corte
costituzionale la legge elettorale sottoposta al suo giudizio ha anche il
compito di disciplinare il “sistema
politico-partitico”. Non si comprende come dal momento che tanto il
Porcellum quanto l’Italicum e il vigente Rosatellum sono leggi elettorali finalizzate a determinare i
criteri per trasformare i voti in seggi, a stabilire le regole per la
presentazione dei simboli e delle liste dei candidati, il deposito dei
programmi … e quindi senza alcuna
possibilità di disciplinare il sistema dei partiti perché quelle leggi
elettorali non definiscono come devono essere selezionati i candidati, come si
approva un programma, come si decidono le alleanze, quali sono le funzioni dei
partiti …
Singolare
anche la preoccupazione di non frammentare l’opposizione, trascurando che con le soglie di sbarramento si ottiene il risultato di escludere forze politiche che non sono in sintonia con
i principali schieramenti e quindi si riduce il pluralismo.
Nelle
elezioni del 2008, le soglie tennero fuori dal parlamento tanto La Sinistra
Arcobaleno, quanto il Partito Socialista e la Destra Tricolore e altre liste
provocando una dispersione di voti validi pari a 3,5 milioni su un totale di
36,5 milioni di voti validi, quasi il 10%.
La crisi
delle due maggiori coalizioni, formatesi in occasione delle elezioni del 2006,
produsse frammentazione politica al punto che nel 2006 le due principali
coalizioni raccolsero il 99,5% dei voti validi e nel 2008 le prime due
coalizioni con la stessa legge elettorale si fermarono all’84%, con aumento
dell’astensione e della dispersione dei voti.
Le soglie di sbarramento costituiscono un incentivo alle
alleanze, ma contribuiscono anche
all’astensione, alla dispersione di voti e alla compressione del pluralismo mentre non servono a ridurre la
frammentazione politica, quando tra le forze politiche manca il dialogo e prevalgono gli elementi di differenziazione.
Non a caso, dal 1994, prime elezioni con sistema prevalentemente maggioritario, assistiamo all'esplosione delle sigle partitiche che affollano le schede elettorali e contemporaneamente cresce la dispersione di voti e l'astensionismo.
Nel 2013, ultime elezioni con sistema elettorale dotato di premio elettorale e soglie di sbarramento, avevamo una infinità di candidati premier e liste politiche con una quantità spaventosa di voti dispersi. La sola coalizione di centro-destra era composta da 8 liste di cui 5 rimaste sotto l'1%. Nella coalizione formatasi intorno a Monti, l'UDC non arrivò al 2% e Futuro e Libertà fermatasi allo 0,47% non ottenne alcun eletto. Stessa sorte per Rivoluzione Civile di Ingroia, Fare per fermare il declino di Giannino, il Partito comunista dei lavoratori di Ferrando ...
Come si può di fronte a questa realtà affermare che le soglie di sbarramento evitano la frammentazione della rappresentanza politica e contribuiscono alla governabilità?
Nel 2018, svoltesi con il vigente Rosatellum, 2,6 milioni di voti validi su circa 32,5 sono rimasti senza rappresentanza diretta, ingrassando le forze politiche ammesse alla ripartizione dei seggi. Dato non trascurabile se poi consideriamo che un altro 4,34% ha votato scheda bianca o nulla!
Se poi dedichiamo un po’ di attenzione al Senato, che la Costituzione (art. 57) vorrebbe eletto su base regionale, ci rendiamo conto che la soglia di sbarramento calcolata a livello nazionale rende impossibile che forze politiche forti a livello regionale possano avere una rappresentanza a livello nazionale. Una forza politica locale, potrebbe anche avere il 10% in una regione, ma se non rappresenta il 3% a livello nazionale, resta esclusa.
L’eventualità
indicata è tutt’altro che fantasiosa essendo esattamente quel che è
ripetutamente successo a forze politiche radicate in alcuni territori ma poco
rilevanti in ambito nazionale. Nel 1983 la Liga Veneta raccolse appena lo 0,29%
dei voti a livello nazionale ma ottenne un seggio al Senato in Veneto perché lì
rappresentava il 3,68% dei voti validi espressi. Nel 1992 la lista Per la
Calabria valeva a livello nazionale appena lo 0,43% ma in Calabria ottenne 2
senatori perché lì rappresentava il 15,21% dei voti validi e la terza forza
politica regionale. Oggi, con la normativa vigente, questa lista non
parteciperebbe alla ripartizione dei seggi senatoriali, escludendo così il 15%
dei votanti calabresi.
L’elezione
su base regionale del Senato ha la finalità di dare voce a forze politiche e
sociali rilevanti nei territori regionali. Si tratta di una componente
importante del pluralismo e dell’autonomismo non a caso valorizzato dall’art 5
della Costituzione laddove afferma “La
Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.
Sarebbe
utile che tutti a qualsiasi livello considerassero la realtà dei fatti senza
abbandonarsi alle astrazioni speculative e aprioristiche che sfidano le leggi
della logica.
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