Nella situazione italiana, in cui dal 1993 siamo in perenne viaggio verso una meta ignota e le leggi elettorali si confezionano in base agli interessi delle fazioni politiche di volta in volta al governo, ma sempre senza alcuna attenzione per il sistema istituzionale, se non in aperto conflitto con esso, e nella totale distrazione degli organi di garanzia, che non si comprende bene di cosa sarebbero garanti, è altissimo il rischio che la Corte assuma una decisione politica, non nel senso spregevole di sentenza di parte deliberatamente assunta contro un’altra parte, ma nel senso di avvertire il peso di una decisione in un contesto politico gracile in cui da anni i partiti si confrontano improduttivamente.
D’altra
parte, le sentenze della Suprema Corte sono inevitabilmente politiche, nel
senso che devono accertare la compatibilità di una legge con i principi
giuridici e pre-giuridici che la collettività ha posto alla base della propria
esistenza. E tutto ciò non è “apolitico”, come dimostra il lungo, difficoltoso
e incompleto cammino per attuare la Costituzione.
Non va in
ogni caso sottovalutato l’aspetto più critico dell’attività della Corte
Costituzionale, vale a dire il rapporto con il potere legislativo.
Decenni di
storia e di sentenze dimostrano la diffusa latitanza del Parlamento nei
confronti delle sentenze della Suprema Corte. Si pensi alla vicenda
radiotelevisiva su cui il Parlamento ha letteralmente fatto carta straccia
delle sentenze della Corte. Stessa sorte è toccata alla materia elettorale. Il
Parlamento ha, infatti, ignorato tutti i moniti sin dal 2008 rivolti dalla
Corte al legislatore sul Porcellum.
Con la
sentenza n. 15 del 2008, che riguardava l’ammissibilità di un referendum
abrogativo sulla legge elettorale, la Corte lanciò un primo monito al
legislatore segnalando “l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti
problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di
maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”.
Sempre nel
2008 con la sentenza n. 16 si replicò con riferimento al premio di maggioranza
regionale previsto al Senato.
Il 12 aprile
2013, nel corso dell’incontro annuale con la stampa, il Presidente della corte
lamentò la difficoltà di dialogo “proprio con il soggetto che della corte
dovrebbe essere il naturale interlocutore, e cioè il legislatore”.
Con la
sentenza n. 1/2014 la Corte costituzionale censurò importanti previsioni della
legge elettorale, ma allo stesso tempo introdusse nel dibattito politico delle
mine vaganti che hanno reso tutto ancora più incerto e problematico.
Così, dopo
la bocciatura del Porcellum, il Parlamento ha prodotto la più incredibile legge
elettorale della storia italiana: l’Italicum, una legge elettorale che
trasformava la competizione per eleggere i rappresentanti politici del popolo
italiano in una competizione per decidere quale partito dovesse governare,
trasformando con certezza matematica una maggioranza relativa in una
maggioranza assoluta, pur rimanendo sulla carta il nostro sistema
costituzionale imperniato sul governo parlamentare.
L'Italicum fu approvato e promulgato a dispetto del fatto che la Corte costituzionale
avesse affermato che una alterazione della rappresentanza è accettabile solo
per favorire la stabilità di governo e maggioranze omogenee tra le due camere.
Presupposto indispensabile dell’Italicum, che riguardava la sola Camera dei
Deputati, era l’approvazione definitiva della revisione costituzionale
Boschi-Renzi, che ancora era in alto mare quando la legge elettorale fu
promulgata.
L’approvazione
e promulgazione di quella legge elettorale fu oggettivamente un autentico
azzardo istituzionale perché qualora la
riforma costituzionale non fosse stata confermata entro il primo luglio 2016,
ci saremmo ritrovati con due camere ancora direttamente elettive ma con sistemi
elettorali estremamente diversi: la Camera con premio di maggioranza al 55% dei
seggi e ballottaggio, qualora nessuna lista raggiungesse al primo turno il 40%
e il Senato con possibilità di formare coalizioni (proibite alla Camera) e
sistema proporzionale con preferenza e alte soglie di sbarramento, rendendo nei
fatti assurdo procedere con lo scioglimento delle camere. Un azzardo che
conferma quanto nel nostro sistema la vistosa carenza di contrappesi e garanzie
contribuisca a produrre l’affossamento della responsabilità della funzione
sotto il peso delle contingenze politiche. Avvenne così quando fu promulgato il
Porcellum, lo stesso copione si ripeté con l’Italicum e con il Rosatellum,
approvato nel 2017 con raffiche di voti di fiducia che non avevano ragione
istituzionale di esistere.
Ciò
premesso, non c’è alcun dubbio sul fatto che le sentenze della Corte
Costituzionale n. 1/2014 sul Porcellum e n. 35/2017 sull’Italicum hanno fissato dei paletti importanti, ma allo
stesso tempo non hanno risolto alcun problema, rendendo ancora più intricato il
dibattito politico che si trascina dall’inizio degli anni novanta del secolo
scorso.
Per
semplicità di comprensione, analizzeremo nei successivi articoli le sentenze
della Corte Costituzionale su Porcellum e Italicum in modo tematico per non
perderci nell’intreccio dei temi politici, istituzionali e giuridici.
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